Perché «megadosi» di vitamina C non hanno efficacia contro il Coronavirus
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La convinzione che la vitamina C (acido ascorbico) sia un rimedio antivirale non è una novità venuta fuori col nuovo Coronavirus. Considerata antiossidante, viene per questo ritenuta utile contro i virus.
Si sostiene così, che questo composto organico fornisca un supporto efficace contro la poliomielite, il tetano e persino ebola, anche per via intravenosa.
Tutto questo si inserisce anche nelle argomentazioni no vax, sostenendo in diverse pubblicazioni online, che l’assunzione di vitamina C possa sostituire l’uso dei vaccini, considerati pericolosi, per altre ragioni infondate da noi già trattate.
«Speriamo in questo modo di poter contribuire ad aprire un dibattito serio sul problema – leggiamo in uno di questi siti – travalicando così i limiti delle solite soluzioni proposte a livello sanitario, come quella dei vaccini, che hanno mostrato ormai da tempo le proprie miopie terapeutiche e relativi conflitti di interesse economici».
Cos’è la vitamina C e perché non è un antivirale
L’acido ascorbico ha diverse funzioni nel nostro organismo, una delle principali è quella di stimolare le difese immunitarie. Certamente può essere utile integrare la Vitamina, per chi ne fosse carente: si chiama “acido ascorbico” proprio perché una sua carenza provoca lo scorbuto.
Ma aggiungerne più di quanto possa assorbirne il nostro corpo è del tutto inutile, anche solo per un raffreddore. L’atto di bere acqua calda e limone potrà certo dare sollievo, ma niente di più.
In che modo poi il sistema immunitario dovrebbe imparare meglio a riconoscere gli antigeni di un virus ed eliminarlo? Le terapie antivirali e i vaccini sono qualcosa di molto più complesso, per questo siamo affascinati dall’idea che possano esistere soluzioni più semplici.
Il chimico e premio Nobel Linus Pauling riuscì a farne un business con la vendita di integratori. Sia lui che i predecessori Klenner e Levy, non riuscirono dimostrare in studi controllati la validità delle loro tesi.
Perché non può curare Covid-19
Facciamo presente che SARS-CoV2 è un coronavirus che non provoca una forma di influenza, bensì una sindrome respiratoria ben più pericolosa, per tanto difficilmente «megadosi di vitamina C» potranno risultare utili contro Covid-19.
Eppure qualcuno si ostina a cercare a tutti i costi in rete, studi che portino acqua al mulino della vitamina C, come supporto contro il nuovo coronavirus. Così è possibile trovare di tutto, il problema è che poi bisogna vedere che metodo viene usato nella ricerca, in che rivista viene pubblicata; ma forse sarebbe meglio prima verificare se effettivamente è stata pubblicata.
Ci riferiamo al trial clinico di ZhiYong Peng, reperibile online sul sito della National Library of Medicine. Oltre al fatto che la ricerca in questione è ancora in cantiere, in attesa di raggiungere 140 volontari entro il 30 settembre, non può quindi trattarsi di uno studio concluso e sottoposto a peer review. Del resto campeggia un box nel sito molto eloquente:
«La sicurezza e la validità scientifica di questo studio sono di responsabilità dello sponsor dello studio e degli investigatori. Elencare uno studio non significa che sia stato valutato dal governo federale degli Stati Uniti. Conoscere i rischi e i potenziali benefici degli studi clinici e parlare con il proprio medico prima di partecipare».
Molti sostenitori dei presunti poteri curativi della loro Vitamina preferita, hanno segnalato l’articolo in questione, dando per scontato che fosse un paper scientifico autorevole, visto che compare nel sito della National library of medicine americana. «Il messaggio è nel mezzo», direbbe qualcuno.
Ma quel che leggiamo nella descrizione della ricerca sono solo le ipotesi di partenza e come vorrebbe verificarle – tutto qui – non si tratta di un articolo scientifico che dimostra l’efficacia dell’acido ascorbico nel trattamento di Covid-19.
Cosa sappiamo dalla letteratura scientifica recente
Studi di qualità in merito non ce ne sono molti, del resto è difficile dimostrare il nulla. Del resto i ricercatori che provano a verificare specifici poteri curativi della vitamina C non mancano, ed è legittimo che sia così, però alla fine i risultati non sono molto incoraggianti.
Sul Journal of antimicrobical chemotherapy compare una lettera di Harri Hemilä, dell’Università di Helsinki sulla vitamina C in relazione all’emergenza sanitaria attuale, dove chiede di considerarne «gli effetti non specifici sulle infezioni virali gravi del tratto respiratorio».
Hemilä non porta però esempi di studi che ne dimostrino l’efficacia, mentre nel febbraio scorso troviamo su Intensive care medicine, uno studio dove si spiegano, fin dalle prime righe, come i numerosi interventi farmacologici sperimentali esaminati, tra cui la somministrazione di vitamina C, non hanno portato a risultati significativamente migliori, rispetto alle terapie che hanno gia avuto conferme robuste:
«Nessuno è raccomandato al momento nelle infezioni virali respiratorie gravi – mentre, continuano gli autori – Le cure di supporto basate sull’evidenza sono il pilastro per la gestione delle infezioni virali respiratorie gravi».
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